Skip to content Skip to footer

“Arc+”, il resoconto tecnico

Il perito-navigatore, protagonista nella transatlantica in flotta dall’Europa ai Caraibi, stila il bilancio delle avarie più ricorrenti capitate agli iscritti analizzandone le cause.

"Arc+", il resoconto tecnico

L’Arc+ è una regata organizzata dal Word Sailing Club gestito dall’inglese Andrew Bishop. Deriva dall’Arc (Atlantic Rally for Cruisers) una transatlantica ideata dal velista navigatore e scrittore Jimmy Cornell che prevede una rotta diretta da Las Palmas (Canarie) a Santa Lucia (Caraibi), 2.700 miglia a cui in media partecipano dalle 200 alle 300 barche l’anno. L’Arc Plus (o Arc+) ha invece una rotta più “turistica”, che richiede maggior tempo, con una navigazione più conservativa che passa per l’arcipelago di Capo Verde.
Nel 2019 agli organizzatori è stato possibile aumentare il numero degli iscritti portandoli da 77 a 100 grazie a un ulteriore pontile per le barche aggiunto a Mindelo (Capo Verde), dopo che una mareggiata aveva danneggiato le strutture l’estate scorsa. Lo staff dell’Arc prevede nei dieci giorni precedenti la partenza una serie di corsi per l’equipaggio e controlli all’imbarcazione per prepararsi al meglio a questa avventura oceanica. In programma ci sono infatti circa 3.000 miglia, 650 per la prima tappa e 2.100 per la seconda. Il tempo di riposo tra le due tratte è di circa una settimana, sufficiente per visitare due isole, salvo inconvenienti a bordo. Nel caso c’è comunque tempo per intervenire.
Lo staff dell’organizzazione controlla principalmente l’equipaggiamento di sicurezza e la preparazione alla gestione delle emergenze, facendo dei test all’equipaggio. Durano in media 45 minuti, noi a bordo di Aluaka (15 m), il nostro Stadtship 54 AC di alluminio, lo abbiamo superato in 20 minuti.
Personalmente ho trovato più utili i corsi tenuti dai vari velisti oceanici invitati dallo staff, sia come confronto di esperienze che per prendere spunti sugli errori da non commettere. Purtroppo molti skipper e armatori erano in ritardo con i lavori di preparazione e diversi skipper briefing sono andati deserti. Che errore!

Arrivare con la barca a ridosso della partenza, per questo tipo di rally oceanici non è mai la soluzione migliore, così come non testarla dopo un periodo di fermo. Inoltre, scopriremo poi che molte barche sono arrivate alle Canarie seguendo la costa del Marocco e quindi senza saggiare equipaggio e attrezzatura in una lunga navigazione. È andata meglio, invece, a chi aveva preso una barca nuova ed era partito nei mesi estivi dal Nord della Francia o dall’Inghilterra, anche se in questi casi le barche mancavano di adeguata messa a punto, perché usate per le vacanze.

Il primo consiglio, quindi, per questo tipo di navigazioni è di arrivare non solo attrezzati, ma molto preparati e avere buona dimestichezza sia con la barca che con la navigazione lunga.
L’Arc+ è sempre un interessante banco di prova per le barche e partecipare ci ha dato modo di renderci conto personalmente dei principali problemi che hanno coinvolto la flotta. A salpare siamo stati 98 equipaggi, ad arrivare in 83. Sicuramente ci sono stati più danni nella prima tappa, in quanto siamo usciti da Las Palmas con mare già formato, onda sui 3 metri e vento sui 25 nodi che poi è aumentato a 30-36 nodi con onde di 4-4,5 metri ogni 12 secondi, il tutto per 48 ore. La navigazione si è poi attestata su venti medi dai 10 ai 25 nodi con onda moderata, un po’ esasperante alla fine per una perturbazione che nasceva a Terranova, la cui onda è arrivata fino ai Caraibi.
 

Timoni sotto stress. Alla partenza, appena usciti dall’isola di Gran Canaria, sulla radio Vhf abbiamo subito ascoltato una serie di chiamate per problemi alla timoneria, qualcuno  era a ridosso della barca giuria, altri più al largo. Tre barche avevano rotto la pala del timone, altre tre denunciavano problemi di timoneria: una aveva la colonnina staccata, le altre problemi ai cavi. Poiché nessuno riusciva a governare con la barra di emergenza e due metri di onda sono stati rimorchiati in porto. Tre barche poi sono ripartite.

Va considerato che quasi tutti i partecipanti avevano fatto carena o alato la barca alla Rolnautica o al Marina di Lanzarote, tuttavia nessuno aveva notato niente di strano. A Mindelo molte barche hanno poi avuto problemi alle boccole che con il vento forte, ma soprattutto l’onda, hanno lavorato tanto. Un timone è stato smontato con la barca in acqua e uno è stato riparato con dei bulloni passanti perché i due semigusci si stavano aprendo.
Chi aveva lo skeg ha avuto un’usura importante alla boccola bassa, quella situata sul calcagnolo e a fine crociera anche  a causa del rumore fastidioso è stato necessario alare la barca. È proprio il rumore il primo segnale d’allarme che dovrebbe allertare l’armatore e fargli capire che qualcosa non funziona, come per esempio il gioco dei bulloni del timone che tengono la sede del cuscinetto superiore, i quali anche se autobloccanti si sono allentati su molte barche.
Lo sforzo applicato sui timoni è legato oltre all’onda anche da quanta velatura ha la barca e pure da come questa scende dall’onda. Se tende alla straorza il timone subirà uno sforzo impressionante dove non è rara la strapoggia, per cui si avrà un alternarsi di sollecitazioni importanti, che spesso vincono anche sul miglior amico del timoniere, il pilota automatico.
Ora, un bravo skipper sentirà se il timone è duro navigando a vela e quindi dovrà regolare randa e genova di conseguenza, se non lo fa e si affida al pilota automatico, beh non c’è da sorprendersi se questo dopo qualche giorno si guasterà. I piloti “rotativi” infatti si sono rotti quasi subito e hanno messo in difficoltà gli equipaggi  perché non agiscono direttamente sul settore o sull’asse e quindi possono limitare tutto il sistema di governo.
I pistoni o attuatori elettrici si sono invece rilevati più validi, soprattutto se con ingranaggi di bronzo e non in plastica e con sistema push-pull (a due pistoni). I migliori sono stati quelli idraulici, che non hanno riportato danni. Anche i piloti a vento, installati su diverse barche medio piccole si sono rilevati affidabili, o almeno non hanno riportato gravi avarie. Da segnalare che molte barche per via dei carichi aggiunti hanno ben superato la linea di galleggiamento e che tante di quelle che hanno avuto problemi erano molto invelate o sovrainvelate per il vento che c’era.
 

L’albero soffre.  Forzare la barca dovendo affrontare 3.000 miglia di navigazione è un non senso e sapere di avere una tappa intermedia è consolante almeno dal punto di vista psicologico. Dopo la pala del timone è sicuramente l’albero la componente che soffre di più.
Non è solo una questione di regolazione del sartiame, ma di aver adottato una serie di accorgimenti ottimali per evitare sorprese. La maggior parte delle barche iscritte ha per esempio avuto problemi alle crocette, troppo forzate dalle rande o dai sussulti generati dalle onde quando la barca andava troppo piano. Va bene, infatti, tenere una andatura conservativa, ma bisogna pur navigare, o ogni onda è come un colpo di frusta. Le barre di rinforzo delle crocette infatti si sono consumate o allentate su molte barche.

Chi non sapeva usare il tangone ha invece creato una spinta prua-poppa, per aver appoggiato il tangone sulle sartie cazzando troppo il braccio poppiero. Diversi tangoni così si sono rotti, come è successo all’equipaggio di un Hallberg Rassy 57 che ha disintegrato un tangone di carbonio con l’utilizzo eccessivo del winch elettrico e un braccio di prua troppo lungo. Guardare cosa si sta facendo e controllare sempre le conseguenze è sempre un buon consiglio per chi naviga! Molte anche le teste dei tangoni strappate, per cui è stato necessario tagliare parte del profilo e rinfilare la testa; nel caso dei rivetti strappati, è bastato sostituirli con bulloni passanti o filettati nell’alluminio o nel carbonio del tangone.

I problemi seri si sono avuti su due barche che hanno rotto il boma perché la ritenuta invece di essere montata in varea era stata collocata a metà dell’estruso. Nel momento in cui la ritenuta lavora, infatti, deve farlo all’estremità. Così una delle due, uno Sweden 45, ha optato per navigare in poppa senza il boma, utilizzando la randa libera, ma ridotta alla terza mano, l’altra barca arrivati a Mindelo ha invece rivettato il boma con delle piastre per renderlo utilizzabile.
Anche la trozza e il vang sono stati molto sollecitati a bordo dei partecipanti alla Arc+. Siccome il boma tende a ruotare, l’usura o il rischio di fratture al collegamento dell’albero è spesso inevitabile. Chi ha dovuto ripararlo ha messo un parabordo un po’ sgonfio tra boma e albero e poi ha legato tutto attorno a quest’ultimo. Alcuni vang rigidi hanno invece ceduto per le troppe sollecitazioni e quindi è stato ripristinato il classico sistema con amantiglio, bozzello a violino e strozzatore.

Drizze? Poche! Quasi nessuna barca si è salvata dai problemi legati all’usura di drizze e scotte. La loro qualità, nonché il fatto che resistano all’usura, sono fondamentali. Su Aluaka per esempio abbiamo raddoppiato le calze sulle drizze e sulle scotte inserendone una seconda in dyneema per circa un metro di lunghezza e anche rivestito con la pelle le scotte del genoa. Oltre al rinforzo della doppia calza, abbiamo inoltre messo del nastro protettivo (Protec tape) all’uscita delle pulegge in testa d’albero.
In navigazione le drizze le controllavamo con il binocolo e spesso ne cambiavamo la posizione; chi ha rotto una drizza, ha poi rotto anche quella di rispetto per lo stesso motivo: l’uscita in testa d’albero tagliente o il passaggio in una pastecca errata e sottodimensionata per lo spinnaker o il gennaker. Le drizze interne per le vele asimmetricihe sono poi da sconsigliare, a meno che non siano rinviate su una pastecca ben dimensionata. Le drizze esterne su pastecca libera invece non hanno usura, ma se si rompono, l’asimmetrico cade in acqua finendo sotto la barca, con danni peggiori.
Notevole anche il numero di grilli e ferramenta inox rotti in questa regata, accessori ormai da sostituire con loop in dyneema. Poche barche, tra l’altro, avevano una drizza di scorta e un sistema per salire sull’albero in condizioni medie, cioè con onda. In tutto, quattro equipaggi sono arrivati con tutte le drizze rotte, hanno cioè navigato con la sola randa per oltre metà traversata.
 

Vele nuove. Chi è partito con vele vecchie, pensando che “tanto vado in poppa” e quindi non soffrono ha fatto un grave errore. Il vento forte dei primi giorni ha subito danneggiato i grandi genoa e alcune rande avvolgibili. Hanno retto meglio i materiali più rigidi e le vele nuove. Invece i gennaker o i code zero in nylon si sono spesso lacerati, lasciando molte barche a vele bianche. Risultato: solo chi aveva una vela di rispetto ha potuto continuare a navigare veloce.
Un limite emerso nell’uso dei bompressi è che se questi sono troppo corti è facile che il gennaker si incattivi nel pulpito, strappandosi o danneggiandosi. Per esempio una barca armata di Parasailor (la vela di prua “ibrida”, con ala) ha avuto la sventura di agganciarla al pulpito con conseguente strappo del tessuto (che peraltro non ne ha compromesso l’utilizzo più di tanto); la vela in pratica si è sventata a causa di un calo di vento e si è infilata sotto il pulpito per poi rigonfiarsi dopo un attimo …e crack!

I multiscafi con le vele Parasailor sono stati nel complesso soddisfatti, anche se qualcuno ha dovuto poi sistemare i cordini che regolano l’apertura della vela perdendo tempo prezioso.

Sia le calze che i sistemi avvolgibili hanno mostrato qualche limite con il vento forte. Chi non aveva la randa alzata ha infatti avuto difficoltà nell’avvolgere le vele portanti o ad ammainare l’eventuale calza, finendo per  strappare la vela nel punto di scotta o ritrovandosi il gennaker esploso a causa del passaggio improvviso di un groppo.
Si sono avute poi molte stecche e carrelli portastecche rotti, in genere a causa di strambate veloci, non accompagnate utilizzando la ritenuta del boma. In ogni caso anche senza questi ricambi si può continuare a navigare, inoltre a Mindelo è possibile trovare qualche accessorio e c’è chi ha costruito delle stecche con del bambù dell’isola di Sao Antao.
La maggior parte delle barche aveva inoltre l’avvolgiranda e solo poche hanno avuto problemi, tra queste due grandi barche che avevano i sistemi di riduzione nel boma si sono trovate con la scotta di avvolgimento rotta e la vela srotolata in navigazione.
Insidiosi Sargassi. Quando si pensa a una traversata atlantica viene in mente una “romantica navigazione a vela sotto Aliseo”, peccato che ogni tanto questo vento va in vacanza e quindi è stato necessario per le barche più pesanti accendere il motore, soprattutto per chi aveva scelto una rotta a Sud.

Il risultato è stato di avere lenze, cime e sporcizia (reti e plastica) nell’elica e anche nel timone quando si è transitati nel Mar dei Sargassi, dove mucchi di alghe raccolgono spazzatura varia. Ovviamente di notte. Un Bavaria 47 ha per esempio avuto un serio problema al sail drive con il distacco della sella del motore, ma sono stati molto in gamba e sono riusciti a chiudere la falla perfino rilaminandola con stucco subacqueo e tanto di resina e fibra di vetro. Tra l’altro avevano già perso un pezzo di pala del timone.
A metà traversata siamo stati anche avvisati dalla direzione di gara che c’erano due Mini 6.50 disalberati e abbandonati. Fortunatamente avevano i tracker attivi e ogni giorno ci veniva data la posizione: scarrocciavano verso Nord seguendo la corrente. Il radar di notte era in funzione, ogni 15 minuti, per individuare i temporali e questo ci ha aiutato. Abbiamo incrociato anche diverse navi, tra le quali una con Ais spento. Alla nostra richiesta, via radio Vhf, del perché ci hanno spiegato che lo tenevano spento per ragioni “commerciali”.
La radio Vhf è sicuramente stata molto usata, sia per evitare le collisioni con altri regatanti (in genere di notte), sia per fare  quattro chiacchiere con pescatori o marinai dei mercantili. Insomma, sempre in guardia.
 

Dissalatori, generatori e batterie. Nelle barche della flotta, tre dissalatori erano stati montati male e nemmeno collaudati prima; uno aveva il tubo di carico invertito con quello di scarico, una banalità si potrebbe pensare, se non che il proprietario non aveva idea di dove mettere le mani. Una barca è arrivata senza acqua, erano in 6 a bordo e non riempivano troppo il serbatoio, così quando il dissalatore ha smesso di funzionare hanno razionalizzato l’acqua per arrivare giusto a fine traversata.
Un buon 20 per cento della flotta ha poi avuto problemi di energia per batterie vetuste (meno di 3 anni) e sistema di ricarica inefficienti, spesso affidati a un generatore mal installato o poco affidabile, che ha reso la ricarica impossibile. Molti equipaggi, però, va detto che avevano cambiato le batterie prima della partenza.
Si sono dimostrati affidabili invece i pannelli solari e i generatori eolici, anche se in definitiva hanno lavorato poco: i primi per via del cielo spesso nuvoloso e i secondi per il vento apparente poco sostenuto. Di conseguenza i migliori investimenti sono stati gli idrogeneratori per le barche veloci e gli alternatori di potenza.

Elettronica e Mob. A diverse barche è saltata la centralina elettronica del pilota o la tastiera di comando: chi aveva un sistema wi-fi è riuscito a continuare la navigazione. Molti apparecchi hanno sofferto il surriscaldamento, per cui sarebbe consigliabile avere un sistema di back-up diverso e indipendente, nonché un tablet con gps.

Un banale incidente durante la partenza da Mindelo è stato quello relativo a un dispositivo Mob (uomo in mare) che si è attivato mentre le barche stavano uscendo in processione dal porto. Un membro dell’equipaggio era caduto in porto mentre slegava la trappa. Sicuramente l’Ais-MOb1 e l’Ais hanno rappresentato il migliore investimento per molti velisti.
 

Imbarchi sbagliati. Molti armatori hanno preso a bordo persone che non conoscevano prima, affidandosi a vari siti di reclutamento equipaggio. La maggior parte si è detta scontenta perché si è trovata a gestire persone problematiche o incapaci, che volevano semplicemente un passaggio per i Caraibi. Alcuni hanno avuto danni provocati da questi ospiti o sedicenti skipper, che poi se ne sono lavati le mani appena sbarcati. Per compiere una traversata oceanica è molto meglio avere un piccolo equipaggio collaudato, ne va a rischio la convivenza e il buon ricordo del viaggio.
 

Pochi incidenti. In questa edizione dell’Arc+ non ci sono stati feriti, ma diverse persone hanno sofferto pesantemente il mal di mare nei primi due giorni. Un bambino ha avuto la febbre alta ed è stato assistito via radio dal medico italiano Antonio Casoni; avere un medico (erano 3) in regata fa sempre piacere.
Purtroppo c’è stato anche un decesso, per cause naturali, dello skipper di un catamarano. La moglie, assistita da un’altra barca, è riuscita ad arrivare a destinazione, tuttavia ha avuto molti problemi di comunicazione perché il marito aveva messo il sistema satellitare sotto password e solo lui la conosceva. Da qui, l’organizzazione ha invitato tutti gli equipaggi a condividere le eventuali password dei dispositivi di bordo con gli altri membri dell’equipaggio.
 

Comunicazioni. La dimestichezza con i sistemi informatici è fondamentale prima di una lunga navigazione. Il problema principale è stato che, a questo proposito, molti non avevano acquisito sicurezza e praticità e, per esempio, non riuscivano a scaricare le carte meteorologiche o le e-mail dell’organizzazione.

Fortunatamente alcuni skipper a portata di radio Vhf sono riusciti a guidare i malcapitati. Stessa sorte è capitata a chi aveva dei sistemi di comunicazione Ssb non collaudati o verificati. Troppo tardi farlo in mare. In questo caso non è stato possibile dare supporto, i settaggi erano più complessi; nonostante ci fosse un medico tedesco radioamatore che ha passato due giorni al Vhf a cercare di risolvere il problema di una barca inglese, ha poi dovuto desistere.
 

Varie. Ci sono stati alcuni casi singolari, come una cucina staccata, venuta via dai supporti, con tanto di vetro temprato esploso. Per gli equipaggi numerosi, poi, la gestione dell’immondizia è stata problematica, con il caldo, molti rifiuti iniziano a puzzare e avere un gavone a prua sopravento è sicuramente un vantaggio.
Organizzare bene i gavoni e il cibo, in particolare lo scatolame, è sempre una buona precauzione; non c’è cosa peggiore del rollio di un barattolo di notte, ma soprattutto bisogna avere l’accortezza di fissare bene l’equipaggiamento nel gavone, per non trovarselo poi da ogni parte.
 

Conclusioni. La differenza in queste navigazioni non la fa la barca, ma il marinaio, come ci si è preparati e come si decide di affrontare il mare. Navigate e sarete preparati. Oltre a investire tempo e risorse in quel che serve, mi sento di consigliare che il segreto di un buon successo sta nell’aver preparato bene e collaudato ogni cosa.  

Barche, età, equipaggi, budget…
L’Arc+ 2019 è salpata da Las Palmas di Gran Canaria  il 10 novembre 2019 con rotta su Mindelo (Capo Verde) e da qui è ripartita il 21 novembre per approdare a St. Lucia nei Caraibi. Vi hanno preso parte 98 imbarcazioni di 40 nazionalità con oltre 400 persone d’equipaggio. L’età media era 55 anni, c’erano 30 famiglie con bambini o ragazzi sotto i 16 anni e 27 coppie di navigatori. Il numero medio degli equipaggi era di 6 persone. L’88 per cento delle barche erano monoscafi, il 12 per cento multiscafi, la lunghezza media 50 piedi e 3 anni l’età media. La barca più piccola era di 9,30 metri, la più grande di 21 metri. L’85 per cento dei partecipanti  aveva a bordo un sistema satellitare e il 15 per cento un sistema radio HF. Il budget medio per prepararsi alla regata è stato di 10.000 euro, ma c’è anche chi ne ha spesi oltre 30.000. 

Aluaka: il “bluewater” cosmopolita
Davide Zerbinati ha partecipato alla Arc+ 2019 a bordo di Aluaka (16,45 m), uno Stadtship 54 AC di alluminio del 2015, con linee d’acqua disegnate da Vand de Stadt mentre il piano velico, la coperta, gli interni e gli impianti sono stati progettati dallo stesso architetto navale italiano. La carpenteria metallica è stata costruita dal cantiere olandese K&M,  la falegnameria dal Cantiere Zuanelli. È una barca solida e sicura, con 5 compartimenti stagni, serbatoi strutturali, timone a barra, 2 winch elettrici, riscaldatore webasto, gradini sull’albero, etc.  Di facile manutenzione, può essere condotta con equipaggio ridotto e si è dimostrata uno scafo veloce. Alla Arc+ è arrivata prima nella classe Cruising e seconda in quella generale.

Articolo pubblicato e redatto. da Davide Zerbinati e pubblicato sul sito Bolina