A una delle parti più delicate della barca non sempre si dedica la giusta attenzione, esponendosi a rischi
Il timone è l’organo più importante, insieme alla pinna, per governare una barca a vela. Senza timone, oltre alla difficoltà di manovra, se si sfila l’asse o si rompe la losca c’è spesso da vedersela con una copiosa falla. Il timone delle barche in vetroresina è generalmente costruito in due metà: su una è incollato e resinato l’asse in metallo che ha una struttura a pettine, mentre l’altra è incollata su una flangia di circa 5 centimetri lungo i bordi. La maggior parte dei timoni è vuota o ha delle tasche vuote, mentre alcuni hanno un’anima in schiuma sintetica. Il difetto tipico del timone è di essere molto predisposto all’osmosi o alle infiltrazioni di acqua. È un problema quasi sintomatico, ma non è normale e va sempre indagato. Osservando la pala del timone non è raro vedere crepe lungo il bordo o sgoccioli che lasciano una bella macchia sul piazzale dove la barca è in secco, un difetto cronico non semplice da risolvere.
Alcuni cantieri, come Amel, hanno adottato però una scelta pratica, un foro nel fondo della pala, in quanto è meglio che l’acqua possa entrare e uscire, invece che ristagnare all’interno, fattore pericoloso nei timoni riempiti di schiuma. Infatti la schiuma a bassa densità tende a imputridirsi e far sì che le pelli esterne si flettano fino a creparsi con la pressione dell’acqua. Le pelli delaminate possono quindi facilmente scollarsi o sfogliarsi, lasciando solo l’anima in schiuma, che si sgretola velocemente. Per questo nel tempo gli armatori si sono ingegnati in tante soluzioni, spesso frettolose, come praticare dei fori (pochi) lungo la pala e iniettare della schiuma sintetica con bombolette, dimenticandosi alcune volte che la stessa espande, col risultato di deformare la sagoma della pala. La corretta soluzione, invece, in caso di timone pieno di acqua o molto umido, dove le pelli si flettono alla pressione delle dita, è di smontare tutto e aprire da un lato delle finestre di ispezione, in modo da poter valutare lo stato interno, farlo asciugare e verificare anche la struttura metallica. Poi si ricostruisce il tutto.
L’asse? Meglio in inox. Il problema della vulnerabilità della pala è però risolvibile e nella storia della nautica si sono tentate varie soluzioni. I cantiere francesi, per esempio, negli Anni 90 hanno costruito molte pale di timone in compensato,poi resinato o solamente protetto con primer epossidico e anche il Cantiere del Pardo dal 2002 ha costruito i timoni della serie Grand Soleil 40 (Paperini), Grand Soleil 45 e Grand Soleil 50 in Pvc espanso da 1.000Kg/dcm3 di densità, una tecnica usata per costruire i pozzetti da mettere sotto l’asfalto! Una soluzione che ha risolto il problema dell’infiltrazione di acqua nella pala. È interessante anche osservare come nella serie Ocèanis (per esempio il 411 con circa 1.200 esemplari costruiti) della Bénéteau l’asse del timone non è in acciaio, ma in vetroresina, ovviando all’irrimediabile problema dell’infiltrazione di acqua tra asse e pala. I materiali migliori per l’asse restano però l’acciaio inox 316 L, se non c’è flessione e quindi ideale per barche con skeg, mentre è da preferirsi l’alluminio 6082 per timoni sospesi o installati su boccole autoallineati o cuscinetti a rulli. Un’alternativa può essere l’acciaio 17PH4 per chi desidera profili poco spessi: un materiale molto rigido, ma che se è sottoposto a corrosione tende a sciogliersi velocemente, letteralmente polverizzandosi.
Il problema è che spesso le sedi delle boccole o dei cuscinetti sono realizzati con alluminio di bassa qualità o soggetti a corrosione e quindi è bene verificare spesso che la pala scorra bene, che non vi siano camolature o tracce di ossido. Un difetto, questo, che si è riscontrato su alcuni modelli Hanse e Bavaria. Molti costruttori di accessori per timoni, infatti, suggeriscono lo smontaggio della pala ogni 2 anni. La maggior parte delle boccole è inoltre autolubrificante con acqua: non serve grasso o altro materiale, mentre la boccola rigida con skeg, vuole un po’ di grasso. La manutenzione si riduce a una semplice pulizia, infatti sporco e ossido rendono spesso la rotazione della pala dura, fino a bloccarla. Sul fronte della sicurezza del timone (e le conseguenza della sua rottura e perdita), la prima cosa da evidenziare è che il suo vano dovrebbe essere stagno.
Questo salverebbe molte barche, in caso di danni, ma spesso è una realtà difficile da applicare anche su barche oceaniche di primari cantieri. Per ovviare a questo problema sono stati studiate pale “piegabili”, come sugli Ovni o sugli Open 60, interamente sollevabili grazie a un piccolo perno sacrificale. Certo, il timone esterno per quanto “brutto” e difficile da dimensionare, e anche se rende la poppa scomoda per fare il bagno, resta la soluzione più sicura, così come montarlo dietro a una chiglia lunga, magari leggermente rialzato, per proteggerlo in caso di spiaggiamento, come sul piccolo e famoso Vancouver 28. Del resto è vero che le barche a chiglia lunga sono lente con i venti medio leggeri e non governano bene a marcia indietro, ma il timone è molto protetto e spesso lavora poco di bolina; viceversa è molto sollecitato in poppa per spostare tutta l’inerzia della carena, anche perché spesso è piccolo di dimensione. Detto ciò, non c’è dubbio che un timone moderno, appeso, profondo e stretto, è molto più efficiente, ma c’è un prezzo da pagare per queste caratteristiche.
Lo skeg serve? In base ai database dei sinistri compilati dalle compagnie di assicurazione, la perdita del timone in una barca è un evento raro, molto raro; è più facile urtare oggetti galleggianti alla deriva con lo scafo che con la pinna di deriva o il timone. Più frequenti sono i danni indotti da una cattiva fabbricazione, dalla corrosione dell’asse o da urti dati al timone durante la marcia indietro o causati da onda quanto c’è poco fondo in banchina. Lo skeg ha senso se è molto grande, allungato alla carena e quindi con un attacco importante e strutturale, ricavato da stampo. La pala inoltre deve essere piccola. Skeg sottili, imbullonati, sono spesso insufficienti a reggere i carichi di un urto, servono solo a sostenere l’asse del timone. Non è raro che in caso di sinistri, lo skeg e l’asse si pieghino, mentre su barche con timone appeso, è solo la parte bassa della pala a soffrire, senza riportare danni alla losca. Infatti nelle barche con timone sospeso l’asse lavora su una cuscinetto a rulli o con boccola autoallineante, che permette una certa flessione, invece l’asse dello skeg, è molto rigido e lavora su una bronzina o una boccola rigida. Molti timoni hanno invece uno skeg parziale, ridotto, alto circa un terzo della pala. La parte sottostante allo skeg non ha asse e volendo è sacrificale, ma non è detto che il timone si rompa all’altezza dello skeg. Lo skeg può essere inoltre una via d’acqua quando è costruito male o chiuso con stucco e non con tessuti, un’abitudine molto diffusa nel passato.
Lo skeg, inoltre è spesso irrigidito da zanche di ferro, che nel tempo si possono corrodere o arrugginire. Un caso famoso è quello dell’Hallberg Rassy 42F, il cui skeg nei primi esemplari tendeva a delaminare: il cantiere corse poi al riparo rifacendo laminazioni e aggiungendo un madiere. In molte barche a poppa larga non è raro poi vedere due timoni, che in genere sono immersi circa il 50 per cento in meno di una pala singola, lavorando bene a barca sbandata; la tendenza è comunque di realizzare timoni grandi, più efficienti, ma anche più sollecitati. Per questo è criticabile la scelta di adottare due timoni profondi se non sono necessari come sul recente Hallberg Rassy 44. Difatti nelle carene larghe un timone emerge e non prende nemmeno le onde, ma su una carena stretta e non planante appare una forzatura. In caso di incidenti il danno può essere doppio, così come il costo.
Problema corrosione. La corrosione spesso colpisce l’asse del timone in un punto preciso, alla losca o appena sotto, cioè dove l’acqua bagna l’asse. Basta una dispersione elettrica del pilota automatico o del plotter sulla colonnina per un filo spelato, che l’asse si corrode con una tipica forma a “clessidra”. Se vi è del carbonio e lo stesso è in contatto con l’’inox della pala, si creerà invece una corrosione ad “anello”. Possono anche verificarsi forme di pitting corrosion per aver applicato antivegetative sbagliate, come quella al rame, direttamente sul metallo, soprattutto su assi in alluminio. In questo caso l’applicazione di uno zinco che protegge l’asse del timone è una maggior garanzia. Per concludere, se l’idea di ottenere un timone stagno è spesso un’utopia, è anche vero che attualmente vi sono tecnologie che possono risolvere il problema delle infiltrazioni, fin dalla nascita. In ogni caso la corrosione è sempre in agguato e bisogna prendere accorgimenti e verificare l’asse regolarmente. La presenza di una paratia stagna a proravia del timone, garantirebbe la migliore sicurezza su barche con skeg parziale e timone sospeso o con due timoni, mentre questo accorgimento sarebbe una miglioria per le barche con skeg importante o a chiglia lunga. Il dibattito è aperto, per ora resta vincente il timone appeso a poppa o quello sollevabile.
Articolo pubblicato e redatto. da Davide Zerbinati e pubblicato sul sito Bolina